Lo storyteller (parte V)

6. -Direi che possiamo incominciare.
Nella sala ormai deserta del locale, avevano fatto il loro ingresso cinque loschi figuri: un armadio di muscoli che malvolentieri sopportano il completo nero con camicia bianca, cravatta e occhiali scuri di corredo; un ometto segaligno in logori calzoni color cachi tenuti su da un paio di bretelle del medesimo colore su una camicia del cui colore se ne era persa ormai la memoria per la troppa usura; un tipo alto e segaligno, il cui naso aquilino pareva uscire da sotto un cappellaccio nero a tesa larga e volersi tuffare in mezzo un paio di folti mustacchi fulvi; l’ultimo uomo era un belloccio che pareva essere balzato fuori da una rivista di moda, palestrato, zazzera bionda, mento pronunciato, occhi azzurri ammiccanti e sorriso da amicone. Infine, del gruppo faceva parte una ragazza: lei era piuttosto giovane e indossava jeans strappati ed una giacca di pelle nera. I capelli erano molto corti da un lato e lunghi dall’altro. Blu. Anche lei, come il primo tirapiedi, indossava occhiali dalle lenti rigorosamente nere.
Dal suo punto di osservazione, nascosto dietro la porta che separava la sala dal retrobottega, Jake osservava tutta la scena. La ragazza assorbì tutta la sua attenzione sin da subito.
Le parole le aveva pronunciate l’energumeno in completo nero. Subito portò la mano libera verso l’orologio che portava al polso, se lo tolse e lo posò sul tavolino che aveva di fronte. Altrettanto fecero gli altri.
Appena tutti gli orologi furono posti nella medesima posizione, cominciarono ognuno a proiettare nell’aria immediatamente sopra di loro: comparvero delle figure, uomini seduti su sedie e poltrone. Agli occhi di Jake parve un sit-in di fantasmi. Sulle sue spalle, ad osservare tutto, Nemesi era stranamente silenzioso.
Le immagini si muovevano e cominciarono a parlare fra loro. Il primo che prese la parola aveva un abito da sera in gessato scuro molto elegante, nonostante fosse piuttosto sovrappreso. Il volto incorniciato da corti capelli bianchi e da un pizzetto grigio sprizzava autorità, mentre ogni tanto interrompeva il suo parlare prendendo forti respiri aspirando con il naso.
-Carissimi amici,  vi ringrazio di aver risposto al mio invito di incontrarci qui e oggi. Vi bacio tutti con onore e rispetto.
-Anche io ricambio il bacio d’onore tuo, Don Vito. Però, vorrai scherzare: non ci stiamo veramente incontrando.
-Vi bacio e vi rispetto a tutti. Don Vito non scherza: lui ci ha fornito questi modernissimi proiettori per incontrarci a distanza. Così c’incontriamo, ma non c’incontriamo. Capisti?
-Ah! Così intendesti?
-Così intesi.
-Onore e rispetto, zii.- la quarta immagine, a dispetto dei primi tre era quella di un giovane. Jake intuì che doveva trattarsi del capo della ragazza coi capelli blu.
-Bacio e onoro tutti quanti pure io. Scusate Turiddu.- si intromise la quinta figura, –J’è giovine e ancora non è avvezzo alle nostre piccole formalità.
-Che ho detto?- protestò Turiddu.
-Ci hai chiamati zii.- spiegò in breve Don Vito.
-Non fate parte della famiglia di mio patre? E io non faccio parte della medesima famiglia di mio patre? E se ci faccio parte e io sono u’ figghiu di mi’ patre, voi non siete i miei zii?
Sulla stanza calò un silenzio di tomba. Nel suo cantuccio, Jake con le dita, cercava di ripercorrere il ragionamento di Turiddu, ma continuava a perdersi. Comunque, trovava i membri di quella famiglia un po’ troppo appiccicosi, con tutto quel baciare e onorare. Intanto, misteriosamente, Nemesi taceva.
Infine, Don Vito prese su un bel respiro rumoroso.
-Amici, i concetti base il ragazzo li ha. Procediamo.
-Se Don Vito permettesse, io qualcosa direi.- esclamò il secondo ologramma.
Don Vito annuì con un gesto solenne del mento.
-Due sono i punti all’ordine del giorno. U’ primu è Tanino “U’ pentitu“.
-Se di pentito parliamo, ci facciamo il solito regalo.- sospirò Don Vito.
-Le scarpe di cemento su misura e un bagnetto gratis nella baia di Chicago?
-E’ la prassi.- annuì Don Vito.
-Se potessi, io un’alternativa l’azzarderei.- alzò la mano un terzo ologramma.
-Parla, Cicciuzzo.
-La sapete la storia di Torquato Tasso?
-Cicciuzzo, non infastidire Don Vito con le tue letture. Lo sappiamo che tra di noi sei l’unico laureato in lettere.
-Gennarì, lascialo dire.
-Bene, questo Torquato poeta fu. Ma bravo assai. Scrisse un poema. “Gerusalemme liberata” lo chiamò.
-Liberata, perchè qualcuno fece tacere chi aveva parlato, ah?
-Gennarì, se continui ad interrompere, facciamo notte.
-Scusasse, Don Vito.
-Ebbene. In questo poema Torquà ci mise magie e mostri. E lui era uno molto credente. Allora ci venne u’ suspetto di aver offeso l’Inquisizione. Allora si autodenunciò. Lui e u’ su’ poema.
-Infame. La spiata fece!
-Sì, ma quel tribunale lo assolse per mancanza di prove. Innocente j’era. U’ caspisti?
-Scusate,- saltò su un altro ologramma, -ma che c’azzecca questo Torquato con il nostro Tanino!
J’è vero. Cicciuzzo, salta a u’ punto.- tagliò corto Don Vito.
-E’ che Tanino ogni tanto si pente, va dagli sbirri, spiffera qualcosa, poi si ripente, ritratta tutto, loro lo tengono qualche anno ospite, poi lui esce per buona condotta, si ripente e ricomincia u’giro. Se lo facessimo sparire, gli sbirri riconsidererebbero le sue spiatine e andrebbero a rispolverarle. E non sarebbe una bedda cosa.
Don Vito annuì con solennità.
-Allora che ci facciamo?- sibilò impaziente Gennarì, -Dallo pissicologo per gli scrupoli lo vuoi mandare?
Don Vito scuoteva il capo, indeciso.
-Zio Vito!
Ku fu, Turiddu?- sospirò Don Vito.
-Non potremmo lasciare in sospeso un attimo questo punto e andare subito al secondo punto all’ordine del giorno? Magari ci ritorniamo dopo.
-Ecco quel che ci vuole: una ventata di gioventù. Bravo Turiddu.- festeggiò Gennarì, che amava le interruzioni.
-Se Don Vito, mi permette, allora, procediamo col secondo punto.
-Permisi.
È il compare affrontò il secondo punto all’ordine del giorno di quella oscura congrega. Sulle sue spalle, Nemesi digerì rumorosamente, ma nella sala accanto, nessuno diede cenno di averlo udito. Jake tirò un sospiro di sollievo.

(continua)

Andrea Savio