La trilogia del Giudice Mascherato (volume 1)

Breve premessa…

Prima della storia che avete appena finito di leggere (e spero abbiate gustato), c’è questa che vi propongo da oggi in avanti. Si tratta di tre racconti (i primi due già comparsi sul quotidiano “Torino sera” tra il 1999 ed il 2000) che vedono protagonisti Ted Landon e Mortimer Morton in una cornice del tutto particolare… la città di Torino, in cui il nostro detective si è autoesiliato nel momento in cui a Chicago è stato accusato ingiustamente di corruzione.

Il terzo racconto sarà una chicca: è del tutto inedito ed è rimasto in cantiere per tutti questi anni, perché nel frattempo ho scritto il romanzo “I misteri di Soapville”.

Ma adesso, basta con le chiacchiere! Le indagini sono sempre in corso con Ted Landon!

 

Il Giudice Mascherato:
Un amico per Landon

I.
-Perché?- mormorai al corpo esanime che stringevo fra le braccia. L’uomo che si faceva chiamare Giudice Mascherato si era messo fra me ed una pallottola, venendo colpito al mio posto. Io avrei dovuto trovarmi al suo posto. Perché questo fa parte del mio mestiere. Perché faccio l’investigatore privato.
-Perché?- ripetei sommessamente, mentre mi rendevo conto solo in quel momento che era stato con una simile domanda che tutta quella faccenda aveva avuto inizio. Sì, proprio così.

II.
-Perché?- esclamai dopo aver accolto con una calorosa stretta di mano, degna del più puro stile dei duri di Chicago, il mio buon amico Mortimer Morton, giunto quel giorno all’aeroporto di Caselle.
Mortimer trasalì, squadrandomi da dietro i suoi spessi occhiali da miope che davano al suo sguardo un’espressione interrogativa ed al tempo stesso stupita. Come spesso accade, però, l’apparenza inganna. Bisogna sempre ricordarsi di andare oltre all’aspetto delle persone.
-Puoi ripetere la domanda, Ted? Temo di non averla capita…- mi rispose.
Ok, forse Mortimer Morton poteva costituire la famigerata eccezione che conferma una regola, ma un particolare bisogna chiarirlo subito: quello stralunato ometto magrolino e slanciato che, nonostante il suo metro e ottanta cercava di apparire più piccolo di ciò che fosse in realtà, altri non era che un giudice della corte di Chicago.
-Ripeto: perché sei venuto fin qui da Chicago?- chiesi dopo un profondo sospiro di rassegnazione.
Mortimer si strinse nelle spalle.
-Una vacanza. Per rivedere i vecchi amici.
A quella risposta mi lasciai sfuggire un breve mezzo sorriso come si usa fra i duri di Chicago.
-I vecchi amici che hai qui a Torino siamo soltanto Joe Scannacani e me, per non parlare di Jack ‘Trippa’… Un poliziotto, un detective ed un malavitoso in pensione. Non venirmi a parlare di vacanze! Sembra più un episodio di “Starsky ed Hutch”!
Detto questo, prendemmo un taxi (naturalmente pagato da lui: se avessi tutti quei soldi, comprerei da mangiare per me ed il mio criceto!) e lo accompagnai al suo albergo, in città. Lì ci salutammo: quel giorno, Joe mi aveva chiesto di passare dal suo ufficio. Doveva parlarmi di qualcosa di vitale importanza.
Salutai Mortimer e mi immersi nella fiumana di persone che affollava il centro di Torino. Torinesi concentrati sulle loro commissioni, turisti, scolaresche. Artisti di strada. Mi è sempre piaciuto stare in mezzo alla gente. Mi aiuta a ricordare. E quel pomeriggio, la mia memoria straripava di ricordi.
Non tutti belli.
Sì, proprio così.
Rammentai il giorno in cui il noto truffatore Tom ‘lo Scacchista’ era riuscito ad incastrarmi in una losca faccenda di spionaggio industriale. ‘L’affare Stend’, come lo avevano definito i giornali, dal nome del noto industriale Harold Stend. Le prove erano talmente schiaccianti che non avevano lasciato dubbi in tribunale. Siccome ero incensurato, me la cavai con il ritiro della licenza da investigatore. Ma non ressi un minuto di più in quella città. E in quel paese. E su quel continente. Innocente, ero
stato ingiustamente condannato.
Mentre pensavo a tutte queste cose, ero ormai giunto sulla porta dell’ufficio dell’ispettore Scannacani. Lui era lì, seduto alla sua scrivania. Aveva in mano un videogioco che assorbiva tutta la sua attenzione.
-Adesso ti pren… adesso ti pren… adesso ti pren… Non ti ho preso!- ringhiava a denti stretti, mentre dal giochino si alzava una sonora risata. In quel momento mi vide e, con un rapido gesto, fece sparire il gioco in un cassetto.
-Volevi parlarmi?- esordii. Come per rispondermi, un’altra sonora risata si alzò nel gelido silenzio della stanza.
-Si tratta del giudice Morton, Ted. È a Torino.
-Sì, lo so. Arrivo con lui dall’aeroporto.
Joe corrugò le sopracciglia.
-Sei andato a prenderlo?
Annuii. Sebbene Mortimer Morton fosse stato il giudice che mi aveva condannato, non gli serbavo rancore. In fondo, ero l’unico a Chicago a conoscere la sua identità segreta. Di notte, vestiva i panni del Giudice Mascherato e, a bordo della sua Giumobile, andava a caccia dei criminali e li spingeva a pubbliche confessioni. Sì, proprio così, questo era il suo unico intento. Quindi, se mi aveva condannato, ero sicuro che i fatti e l’evidenza delle prove lo avessero costretto a farlo. E poi, Mortimer era mio amico. Anche quando le cose si mettono male, bisogna continuare a voler
bene ad un amico. Anche contro tutte le apparenze. Se no, che razza di amicizia è?
A quest’ultimo pensiero, m’irrigidii. Se l’intento del Giudice Mascherato fosse stato soltanto quello di far confessare i criminali, e visto che Mortimer era arrivato qua a Torino, avrebbe potuto soltanto significare che…
-C’è un’altra cosa di cui ti volevo parlare. . continuò Joe, – ‘Lo Scacchista’ è in città.
Dal cassetto della scrivania di Joe si alzò una sonora risata. Trovai la cosa inquietante. Sì, proprio così.

Uscito dall’ufficio di Joe, vagai per qualche ora per le strade della città.
Ci sono momenti in cui un uomo deve dimostrare di essere uomo.
Momenti in cui deve stringere i denti tanto da sentire scricchiolare le mascelle.
Momenti in cui la gola è tanto riarsa che il Gran Canyon risulta un luogo piacevole e rinfrescante.
Momenti in cui un uomo vero tiene lo sguardo alto e pensa fra sé: ‘Dovevo ascoltare la mamma e fare l’assicuratore!’ Sì, proprio così.
Con questi pensieri per la testa giunsi sulla porta del mio ufficio.
Sarà stato per il mio infallibile fiuto che odorai subito il pericolo nell’aria?
Sarà stato per la mia abitudine al rischio che mi aspettavo una mossa dallo ‘Scacchista’?
Oppure sarà stato il biglietto piantato sullo stipite della mia porta con un pugnale di infima marca, a suggerirmi che qualcosa stava per minare la mia tranquillità?
Immagino che quel biglietto possa aver contribuito. Sì, proprio così!
Staccai con un gesto deciso il pugnale lanciandomelo alle spalle. Presi il biglietto e varcai la soglia del mio ufficio.
Il biglietto diceva:
‘Non ti servirà a nulla l’esserti rintanato in questo angolo sperduto del pianeta. Ti ho trovato. Adesso nulla mi impedirà di schiacciarti peggio di una sardina in un barattolo sovraffollato! Tuo affezionatissimo, Tom lo Scacchista.’
Leggendo quelle parole, inarcai le sopracciglia, mentre un sospetto si faceva strada nella mia mente: probabilmente quel tizio non mi voleva molto bene! Una cosa, però era certa: il suo linguaggio era alquanto fiorito! Sì, proprio così!
Inoltre, notai un post scriptum:
‘Dimenticavo, ti aspetto questa sera negli scantinati di ‘Da Gigi, specialità genovesi’. Vieni solo!’
Ormai il tempo era volato e soltanto in quel momento mi accorsi che si erano già fatte le 20:30. Dovevo sbrigarmi: ‘Da Gigi’ si trovava dall’altra parte della città.
Precipitandomi fuori della porta, non mi ero neanche accorto di aver lasciato il biglietto di Tom in bella vista sulla scrivania. In fondo, non avevo neanche visto Mortimer Morton che era entrato dietro di me, tenendo fra le mani una ventiquattrore dalla quale spuntava il manico del pugnale di cui mi ero sbarazzato poco prima. Strana la vita: a volte si scopre come sono utili al giorno d’oggi le ventiquattrore… Sì, proprio così!

III.
-E’ stato in quel momento che hai scoperto dove stavo andando e perché, vero, vecchio furfante?- dissi al Giudice Mascherato, cercando di farlo tornare in sé. Ma inutilmente. Scossi il capo e tornai ai miei ricordi.

IV.
Il bar ‘Da Gigi’ era il luogo d’incontro dei duri più duri della città. E, si sa, quando il gioco si fa più duro, i più duri cominciano a farsela addosso. O qualcosa di simile. Sì, proprio così!
La cameriera mi venne incontro.
-Ehi, bel tomo! Cosa ci fai qui? Vuoi ordinare il solito?
-No, pupa. Voglio la chiave dello scantinato.
-E’ già stata presa. Comunque vai pure. La porta è in fondo al locale a destra. Ci fate un simposio, là sotto, questa sera?
-Sì, proprio così!
-Beh, vedete di non sparare troppo, ché mi sporcate il pavimento!
Dopo quel rapido scambio di frecciate, mi avviai verso la porta indicatami.
-Non fare un passo di più.- mi intimò una voce alle mie spalle. La riconobbi anche troppo bene: era Tom ‘lo Scacchista’.
Mi voltai verso di lui: avevo capito il suo gioco. Mi aveva dato appuntamento nello scantinato per potermi prendere alle spalle una volta che mi sarei diretto in quella direzione!
-Ehi!- urlò la cameriera, -Questo chi sarebbe? Non voglio sparatorie nel mio locale!
-Chiudi il becco! Le ordinò Tom. Poi, si rivolse a me, -A noi due, Landon!
Tese di più il braccio per prendere meglio la mira.
-Questo è scacco matto.- ghignò.
-Al contrario!- esclamò una voce, mentre la porta dello scantinato si spalancava rumorosamente.
-La mia porta!- Piagnucolò la cameriera, mentre una nuvola di fumo si propagava per tutto il locale. Dalla nebbia, ad un disorientato Tom si presentò una sagoma nera. Il click di un walkman fece partire una musichetta da film d’azione e il Giudice Mascherato esordì con la sua frase d’entrata ad effetto.
-Sono la gomma che cancella l’errore del crimine! Sono il tuo incubo peggiore! Chi sono?
-Chi se ne importa! Levati dai piedi!- sibilò lo scacchista.
-Risposta sbagliata! Dai, fai un altro tentativo!
-E lascialo perdere, ché ha un’arma!- ribattè la cameriera.
-No! E’ una questione di principio!- disse il Giudice Mascherato, avanzando verso Tom . Dai, è facile! Indosso una toga e una maschera… sulla toga c’è una grossa “G” gialla… sono il… sono il Giu…
Vidi Tom grondare di sudore. Il dito che teneva premuto sul grilletto, tremava.
-Se vuoi, rispondo io per lui… – azzardai.
-No! Troppo facile così! Deve dirlo lui!- e dicendo questo, Morton fece un altro passo verso Tom.
La tensione era troppa. Un colpo partì dalla pistola dello Scacchista.
Poi ci fu soltanto la nebbia. Quando il locale ritornò completamente visibile e la nebbia fumogena del Giudice Mascherato si era diradata completamente, Mortimer era steso a terra. Privo di sensi. Si era messo in mezzo fra me e la mia morte. La pallottola che era destinata a me, adesso era nel suo petto…
Passò un tempo incalcolabile.

V.
-Dov’è lo Scacchista?- sibilò Morton, riaprendo le palpebre.
-È fuggito! Ma la cosa non finisce qui!- risposi.
Il mio amico aprì con fatica la bocca, per parlare ancora. Stavo per impedirglielo, per non fargli sprecare le forze, ma lui fu più veloce.
-Mi devi promettere una cosa…
Deglutii a vuoto.
-Dimmi.
-Promettimi che quando sarà finita tutta questa storia…- un colpo di tosse spezzò la frase.
Strinsi le labbra, aspettando che si riprendesse. Infine lo fece.
-Promettimi che farai una cosa per me!
-Certo. Che cosa?
-Mi impedirai di andare dal solito sarto a farmi ricucire la Giu-toga imbottita di Giugiubbetto
antiproiettile! Il suo taglio è così fuori moda!
Detto questo, si alzò con l’agilità di un grillo, lasciando me stupefatto. Quando mi ripresi, lui si era già allontanato in una nuova nube di gas.
Ero sicuro che lo avrei incontrato presto.Anche perchè la mattina dopo avevamo appuntamento per la colazione. Sì, proprio così!

Tom ‘lo Scacchista’ era fuggito questa volta. Era un criminale abile e senza scrupoli. Aveva fatto un grosso errore, però: non aveva calcolato un fattore nella sua equazione. Un fattore che da solo poteva vincere questa partita, perché non era legato ad interessi personali. Né alla vendetta. Qualcosa di forte. E di bello. Tom lo Scacchista non aveva tenuto conto dell’amicizia fra Mortimer e me. Per questo avrebbe presto perso non solo questa battaglia. Sì, proprio così.

Andrea Savio