Lo storyteller (parte III)

3. Sede FBI. Dipartimento degli XYZ files. Ufficio dell’agente Wolf Folder.

Folder era rientrato nel suo ufficio e se ne stava seduto alla scrivania, stringendo in mano la cartellina recuperata poco prima dall’archivio. Deppry, il cane di Ted Landon, si era acciambellata sul pavimento fra l’archivio e il poster con l’immagine sgranata di un disco volante sulla sagoma scura di una foresta con la scritta in verde acido: “No ufo, no party”.

Aprì la cartellina e ne lasciò scivolare fuori sul piano della scrivania gli incartamenti contenuti: si trattava di un vecchio caso, mai chiuso, che aveva seguito appena i capi lo avevano assegnato agli XYZ files. Quella faccenda si era rivelata così strana, piena di risvolti non inquietanti, ma impossibili, che quasi si era convinto a rassegnare le dimissioni: aveva infatti compreso che qualcuno, al Bureau, aveva interesse a toglierlo di mezzo, affidandogli finti incarichi.

Eppure quel giorno pareva che i fatti riportati in quella cartellina potessero finalmente essere illuminati da una luce nuova. Di lì a poco avrebbe varcato la soglia del suo ufficio qualcuno che avrebbe potuto portare quella luce. Dopo dieci anni!

Sì, perché i fatti descritti in quel rapporto si erano ripetuti!

Fu mentre pensava a quelle cose, che la porta si spalancò all’improvviso.

-Entra qui, avanzo di galera!- urlò una voce, mentre un uomo fu praticamente scaraventato contro la sua scrivania. Folder vide che istintivamente aveva portato avanti le mani e con esse aveva conservato l’equilibrio poggiandosi sul suo piano di lavoro.

Si trattava di un uomo piuttosto giovane, molto probabilmente fresco di laurea. Molto alto e smilzo. I movimenti dinoccolati, andavano a ritmo coi capelli neri intrecciati in dreads che rimbalzavano da una spalla all’altra.

Folder allungò lo sguardo oltre il nuovo venuto e vide chi lanciato quel grido: si trattava del tenente di polizia Joe Scannacani. Era una conoscenza di Landon. Gliel’aveva consigliato lui in persona: “Semmai avesse bisogno di qualcosa, conti pure su Joe. Lui è un amico e se c’è da raggiungere lo scopo della giustizia, non si fa problemi a collaborare con altri Dipartimenti o agenzie.”

“Una cosa sola, – aveva aggiunto – attento a non rigargli la macchina. Va su tutte le furie.”

Folder non aveva compreso quell’ultima raccomandazione (non era solito andare in giro a rigare le automobili dei propri collaboratori) e, soprattutto, l’aveva stupito il tono di urgenza col quale Landon l’aveva sottolineata.

Sta di fatto che qualche giorno prima, si era trovato un certo nominativo da rintracciare, un tale che rispondeva al cognome di Stone. Avrebbe potuto convocarlo lui stesso tramite i propri canali ufficiali, ma aveva preferito soprassedere, per evitare che alcune persone venissero a sapere che aveva ripreso ad occuparsi di quel vecchio caso degli irreali.

-Tenente, è questo il signor Stone?

-Certo.

-Questo è un sopruso! Sono stato praticamente rapito!

-Chiudi il becco, furfante!

-Tenente, mi vuole spiegare cosa stia succedendo?

-Certo!

-Glielo dico io! Mi ha preso per il collo e trascinato via dal mio studio…

-Taci, verme.

-Ma perché lo sta trattando così?

-Non voleva che le portassi qui questo delinquente?

-Sì, volevo che lei lo portasse da me. Ma…

-… ma cosa?

-Forse lui è la vittima, tenente.

-Non è un delinquente?

-Se si esclude che nel 1996 ho detto una bugia alla mia mamma…

-Be’, questo è grave, però.

Dal suo angolo, Deppry emise un lungo e basso gemito.

Cogliendo il momentaneo disorientamento di Scannacani, Folder approfittò per chiudere quel dialogo dell’assurdo.

-Comunque grazie della collaborazione, tenente. Mi farò vivo io.

-Prego, agente Folder. Adesso scappo: ho lasciato l’auto in doppia fila e non vorrei che qualcuno me la rigasse. Sa: è nuova.

-Il commissariato non le fornisce una volante della polizia?

A quelle parole, il volto di Scannacani si illuminò.

-Davvero? Allora è per questo che c’è tutto un parco macchine nel garage sotterraneo. Ma dai!

Detto questo, scomparve nel corridoio. Poi, come per essersi ricordato di fare qualcosa fece di nuovo capolino.

-Scusi per prima, signor Stone… ci dev’essere stato un equivoco.

-Lo dica alla mia cervicale!

-Glielo dica lei, scusi, ma adesso devo proprio scappare. Arrivederci!- e scomparve di nuovo.

A quel punto, in piedi davanti a me c’era soltanto più Stone, che fissava Folder sconcertato. Aveva un bel viso dai tratti regolari arricchito da un pizzo curato. L’espressione del volto, però era piuttosto scioccata.

-Sì accomodi, la prego.- si affrettò ad invitarlo l’agente.

-Cosa vuole da me?- biascicò Stone.

-Aiutarla. O meglio,- si schiarì la voce, prima di proseguire, -apprezzerei una mano reciproca, se possibile.

Si studiarono in silenzio. L’uno scrutando negli occhi l’altro. Passò diverso tempo. La stanza sprofondò in un silenzio quasi perfetto, se non fosse stato per il sommesso russare di Deppry che, nel frattempo, si era sentita talmente ispirata da tutto quel trambusto, da decidere di schiacciare un sonnellino.

Infine Stone parlò.

-Non ci ho capito una fava.

-Neanche io.- rispose Folder. Avrebbe preferito una frase ad effetto, sì, ma lui non era Ted Landon e questa era una prerogativa di Ted Landon, non dell’agente Folder. No, proprio no!

(continua)

Andrea Savio